Onboarding completed. Il decollo è previsto entro 90 giorni. ✈️
House Organ di Lavoropiù - Anno XVII - Numero 130
✏️ In questa edizione di Informapiù si scrive di onboarding, densità culturale, rituali, appartenenza, feedback e tutto ciò che le aziende si giocano in quella soglia dei primi famigerati novanta giorni in cui costruire un mondo nuovo. Un mondo in cui fermarsi, volentieri, per qualche anno o (chissà) fino a nuovo aggiornamento.
🎧 Prima di avventurarti nella lettura, ti suggeriamo di lasciarti accompagnare dalla playlist di Informapiù. In questo numero abbiamo giocato con una selezione piuttosto insolita: dal momento che parliamo di onboarding, ecco a voi le ‘opening tracks’ più amate dalla nostra redazione. Salva la playlist su Spotify per averla sempre tra le tue preferite e prendi nota quando trovi una traccia che ti toglie il fiato, perché a fine mese (sigh!) la playlist si azzererà.
Prima di cominciare 🗳
🤝 Onboarding: a volte la prima impressione conta.
Ogni nuova assunzione non è solo l’inizio di un contratto, ma è il primo capitolo di una storia. I primi 90 giorni in una nuova organizzazione sono un lasso di tempo in cui la persona costruisce il proprio senso di appartenenza, il proprio ruolo e la propria identità professionale all’interno del contesto. È in quel periodo che si forma l’identità professionale e si risponde alla domanda: “Appartengo a questo posto?”.
Secondo un report di Gallup (2024), solo il 12% dei dipendenti ritiene che la propria azienda faccia un buon lavoro con l’onboarding. Un dato preoccupante se si considera che, secondo Glassdoor, un processo di onboarding efficace può migliorare la retention e aumentare la produttività.
1. Le prime settimane come imprinting culturale
Durante i primi giorni, la risorsa neoassunta cerca segnali: ogni interazione, ogni e-mail, ogni pausa caffè è un indizio per comprendere "com’è davvero questa azienda?". Questo tempo iniziale è il primo momento in cui si narra, implicitamente, la cultura organizzativa: è qui che si trasmettono valori, si stabiliscono rituali, si chiarisce “cosa conta” e come si prendono le decisioni, per questo non va trattato come un semplice periodo di adempimenti burocratici o tecnici.
Uno studio pubblicato su MIT Sloan Management Review evidenzia che il primo mese in azienda ha un impatto importante sulle percezioni di fiducia, appartenenza e motivazione delle risorse.
“I nuovi dipendenti spesso vogliono capire come si inseriscono nella cultura dell’organizzazione e come la loro identità si allinea a quella cultura.”
Daniel M. Cable
A questo si aggiunge un concetto spesso sottovalutato: l’azienda comunica più nei non detti che nei documenti ufficiali. Il modo in cui viene accolto un errore, la puntualità con cui si riceve un feedback, la qualità della prima riunione: sono tutti tasselli di una narrazione organizzativa implicita che resterà impressa molto più a lungo del portale HR. Secondo il report di Qualee, le aziende che investono in programmi di onboarding strutturati registrano un tasso di retention dell’82% tra i nuovi assunti e le nuove assunte, mentre il 33% di chi non riceve un onboarding efficace abbandona l’azienda entro i primi sei mesi.
Camilla, neolaureata, entra in un’azienda tech. I primi tre giorni sono un susseguirsi di mail automatizzate, tutorial e webinar. Nessun momento umano, nessuna presentazione reale. Alla prima settimana, pensa: “Mi hanno assunto, ma si sono dimenticati di me”. L’imprinting iniziale ha già lasciato il segno.

2. Onboarding ibridi: progettare l’integrazione, non solo la presenza
L’accelerazione dell’ibridazione professionale ha reso necessario ripensare l’onboarding anche nei contesti digitali. Ma attenzione: fare onboarding non significa solo “condividere materiali” su una piattaforma. In un modello ibrido, l’onboarding deve andare oltre la semplice presenza in ufficio. Richiede flussi di lavoro mirati e strutturati e risorse dedicate per garantire un‘integrazione efficace.
Secondo Harvard Business Review (Klinghoffer, Kocher, Luna, 2024), ci sono tre leve fondamentali per trasformare l’onboarding ibrido in un’esperienza solida e generativa:
Presenza con intenzionalità: nel contesto del lavoro ibrido, quando si progetta l’onboarding di una nuova risorsa, non basta più convocarla in azienda “perché si è sempre fatto così”. Bisogna, piuttosto, chiedersi: “Perché questa attività richiede la presenza? Che tipo di esperienza offre?” I momenti in presenza devono avere uno scopo chiaro e un valore aggiunto rispetto a ciò che potrebbe avvenire da remoto, come sessioni sincrone con manager, workshop collaborativi o momenti informali che favoriscono la connessione umana.
Struttura chiara e guidata: il rischio più comune nel modello ibrido è la discontinuità. Per evitarla, è essenziale offrire un piano settimanale strutturato: onboarding calendarizzati, incontri di feedback, obiettivi iniziali misurabili. Un‘agenda ben costruita trasmette sicurezza e attenzione.
Risorse umane visibili e coinvolte: il supporto deve essere tangibile, come per esempio avere un/a buddy o mentor assegnato fin dal primo giorno, momenti regolari di check-in da parte della figura del manager e occasioni per socializzare, anche online. Le risorse non devono essere “consultabili”, ma presenti e proattive.
Le piattaforme servono, ma da sole non bastano: serve progettare esperienze.
3. “Shadowing narrativi”: seguire chi vive bene il lavoro
L‘onboarding più efficace non è quello che dice cosa fare, ma quello che mostra cosa significa appartenere. E nulla lo mostra meglio di un mentore narrativo: una persona che vive e interpreta il lavoro con senso, consapevolezza e responsabilità. Shadowing non significa solo osservare. Significa entrare in sintonia, assorbire linguaggi non verbali, raccogliere storie. Come dice il neuroscienziato Antonio Damasio: “Prima di essere esseri pensanti, siamo esseri narranti”. Coinvolgere figure interne come role model narrativi accelera l‘apprendimento implicito, che è spesso più rilevante di quello formale. Un giovane neoassunto che segue una project manager esperta scopre di più su come si prendono decisioni, si gestisce lo stress o si coltivano relazioni in questo modo che attraverso cento slide.
È attraverso la prossimità con chi ha interiorizzato i valori aziendali che si apprende ciò che non viene insegnato: le regole non scritte, i codici relazionali, il tono delle conversazioni. È il concetto di apprendimento tacito, quello che avviene tra le righe, nei silenzi e nei gesti, teorizzato da Michael Polanyi, secondo cui “we know more than we can tell”.
4. Costruire onboarding ad alta densità culturale
Il termine “densità culturale” fa riferimento alla concentrazione di elementi significativi — simboli, rituali, pratiche, linguaggi — che rendono tangibile la cultura aziendale. Non si tratta solo di “dire” quali sono i valori dell’azienda, ma di mostrarli in azione, farli vivere fin dai primi giorni.
Le prime settimane sono l’occasione per un’immersione in un ambiente ad alta densità culturale, un onboarding che lascia il segno è un mix di diversi elementi:
Rituali: benvenuto collettivo, welcome kit, incontri con il leadership team
Storie: racconti di fallimenti e successi aziendali, storia del brand, “giornate tipo”
Mentoring: assegnazione di un/a buddy nei primi 3 mesi
Feedback: incontri regolari di check-in e allineamento delle aspettative
L‘onboarding è quindi una narrazione organizzativa distribuita, dove ogni collega contribuisce e ogni gesto comunica. L‘onboarding non è una sequenza da spuntare, è una grammatica relazionale da costruire con cura.
Un onboarding ad alta densità narrativa non significa solo progettare bene i primi giorni, ma allenare l'intera organizzazione ad accogliere, raccontare, riflettere. Pensare all’inserimento di una nuova risorsa come leva culturale, e non come processo amministrativo, è ciò che distingue un’azienda che assume da un’organizzazione che accoglie. Perché l‘identità non si insegna. Si assorbe.
Se fai due più due…🧮

👀 Senti questa: il mirror test di Gallup, Lacan e l’onboarding come specchio
Nel 1970 lo psicologo Gordon Gallup ideò un esperimento che oggi è considerato uno dei più noti nella storia delle neuroscienze comportamentali: il mirror test. Mise uno specchio di fronte a diversi animali per verificare se fossero in grado di riconoscersi. Solo pochi – come delfini, elefanti, alcune grandi scimmie – superarono il test. La conclusione fu semplice ma rivoluzionaria: riconoscersi è un atto cognitivo profondo, non un automatismo. Richiede una rappresentazione stabile di sé, una mappa interna. In fondo, ogni processo di onboarding è un piccolo mirror test. Quando una persona entra in azienda, si guarda – attraverso i comportamenti altrui, la cultura, i riti, le parole. Cerca un riflesso, un’identità possibile.
Lo aveva capito anche Jacques Lacan, quando definiva lo stadio dello specchio come la fase in cui un bambino riconosce la propria immagine riflessa e, da quell’istante, inizia a costruire un’identità sociale. L’immagine è intera, coerente, affascinante: spesso diversa dal caos interiore percepito. Ma proprio per questo potente. È la promessa di ciò che si può diventare. Ecco allora la domanda: cosa vede, davvero, una persona quando entra per la prima volta nella nostra organizzazione? Ha di fronte uno specchio chiaro? O solo pareti opache? Progettare bene l’onboarding significa mettere davanti a chi arriva un riflesso leggibile: una cultura comprensibile, un’identità desiderabile, un contesto che aiuta a orientarsi. Perché non ci si integra per download, ma per riconoscimento.
In fin dei conti, le persone restano dove riescono a vedersi.
💬Chi nasce tondo…
Key-notes📝
🔑Le note di lettura delle nostre key people su questo numero di Informapiù.
Dal tuo punto di vista, quali sono gli errori più grossolani che si rischia di commettere durante l’onboarding? E quali segnali indicano che questo strumento – così centrale nei processi di inserimento – è stato progettato in modo debole o inefficace?
Il processo di reclutamento termina con successo nel momento in cui si crea il match tra domanda e offerta, tra azienda e professionista; a questo punto si apre una nuova fase, quella dell’onboarding, l’insieme di tutti quelle azioni che contribuiscono a far sì che la nuova risorsa venga “ingaggiata e tensionata” rispetto agli obiettivi e auspicabilmente al sistema valoriale aziendale. Sottovalutare la strategicità di questo processo rappresenta già di per sè un errore grossolano che può inficiare un inserimento di successo. Occorre favorire una piena consapevolezza su strumenti, ma ancor prima prassi, codici di comportamento e il complesso sistema del “non detto” che passa attraverso azioni e comportamenti, informazioni che spesso non vengono condivise e non correttamente processate perché date per scontate. Al contempo è necessario un ascolto attivo della nuova risorsa in termini di know-how, ma soprattutto di visione oggettiva, non viziata da bias interni. Il mancato o scorretto bilanciamento di queste facce della stessa medaglia spesso porta a onboarding non genuini quando non addirittura completamente inefficaci.
Valeria Contursi | Regional Sales Manager Area Romagna @Lavoropiù
Ritieni che un onboarding ben strutturato possa incidere concretamente sulla retention nel medio-lungo periodo? Quali elementi – relazionali, organizzativi o culturali – fanno davvero la differenza nella tenuta di un inserimento, pur sapendo che il turnover è sempre il risultato di una molteplicità di fattori?
Il processo di onboarding ha l’obiettivo di presentare alla nuova risorsa strumenti, processi e mission aziendale. È un momento chiave per l’engagement iniziale, ma spesso si sottovaluta quanto conti, nel medio-lungo periodo, continuare a osservare le caratteristiche della persona incontrata in fase di colloquio, anche quando è ormai collega. Mantenere coerenza tra ciò che si è e ciò che si fa – da entrambe le parti – è la base per costruire fiducia. E solo dove c’è fiducia, si cresce davvero.
Ritrovare nel tempo gli stessi valori sperimentati durante l’onboarding crea un senso di continuità che alimenta il desiderio di crescere e rinnovarsi senza dover cambiare azienda. Lavoro da anni con persone che hanno cambiato ruoli, attitudini, prospettive – ma non la fiducia nelle scelte aziendali. Perché quelle scelte si sono evolute insieme a loro. Si cambia, si cresce. Ma ciò che resta è la fiducia in ciò che si è scelto di essere, in un contesto in cui ci si sente parte attiva, perché il contesto stesso cambia con te. Su alcuni fattori non si può intervenire, ma su tutti gli altri coerenza e ascolto sono ciò che fa la differenza.
Elvira Eleuteri | Area Manager Lazio & Candidate Management @Lavoropiù
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Per la categoria special✨
🔬Il punto di vista delle divisioni specialistiche.
Cosa rende davvero efficace un onboarding nei contesti ad alta intensità come la GDO o la logistica? Ci sono modalità o best practice che, secondo te, aiutano le nuove risorse ad adattarsi rapidamente e ad apprendere sul campo, riducendo il senso di disorientamento iniziale?
Nel processo di onboarding, in contesti ad alta intensità come la GDO e la logistica, è cruciale fornire le giuste strategie per gestire un numero elevato di richieste, ottimizzando tempi, risorse ed energie. È fondamentale insegnare a riconoscere correttamente le priorità, gestire le urgenze e rispettare le scadenze. Un altro punto chiave è imparare a testare fin da subito la motivazione delle risorse riguardo la disponibilità a lavorare su turni, nei giorni festivi o in altre condizioni particolari. Spesso un “sì” iniziale si trasforma in una rinuncia durante il percorso. L’entusiasmo è fondamentale. Ogni attività, anche se non porta risultati immediati, deve essere valorizzata, e va mantenuto un alto livello di creatività nella gestione delle criticità. Infine, un buon onboarding in questi ambiti tiene conto della quotidianità dei referenti, che spesso sono operativi, sotto pressione, con poco tempo: saperli intercettare con flessibilità e lucidità relazionale fa la differenza.
Antonio Capasso | Responsabile Area Gdopiù e Logisticpiù @Lavoropiù
Extra-time⏱
💡Un tecnicismo che può tornarti utile di questi tempi.
Nella tua esperienza, quali sono gli elementi “invisibili” ma fondamentali che rendono un onboarding davvero efficace, al di là della parte formale e documentale? Ci sono accorgimenti o pratiche, come il supporto informale da parte dei colleghi o l’attenzione alla gestione del carico emotivo, che secondo te fanno la differenza nell’accoglienza e integrazione delle nuove risorse?
Entrare in un’organizzazione nuova è un po’ come varcare la porta di casa la prima volta. Certo, è importante avere il mazzo di chiavi ma è la conoscenza dei dettagli di quella casa la vera chiave per sentirla tua: qual è la sua esposizione, quali sono i muri portanti, che storia hanno le piastrelle del pavimento, com’è il vicinato?
Un onboarding efficace dev’essere in grado di darti le informazioni fondamentali di quella che, professionalmente parlando, sarà casa tua. Strumenti e competenze tecniche sono i muri portanti, ma i dettagli “invisibili” sono cruciali per permettere a chi approda in azienda di sentirsi un ingranaggio capace di contribuire al funzionamento dell’intera struttura.
E quei dettagli sono tanti: l’accoglienza del/la collega che condividerà la giornata con te; ore di formazione con colleghi/e più senior; la cultura organizzativa raccontata da chi la vive; la consapevolezza che un sistema valoriale nasce dai comportamenti. Il talento del singolo incide davvero solo se valorizzato nel suo contesto di riferimento fatto di altri professionisti, di buone prassi, di competenze, di obiettivi comuni che diventano raggiungibili solo quando si è in grado di guardare nella stessa direzione.
Valentina Orlandi | HR Training & Development Specialist - Ufficio Personale Diretto @Lavoropiù
🔗 Ieri, oggi e domani: link dai tempi che cambiano.
🗿 ieri: il tuo onboarding non sarà mai così immersivo come quello dell’Apollo 11
⚡️ oggi: una guida alla compilazione del Modello Redditi PF (nuove deduzioni)
🔮 domani: come sarà l’onboarding di una risorsa non più umana ma… artificiale?
💅 Nei ritagli di tempo, abbiamo anche…
🏁 concluso con successo la prima edizione del Job Shadowing powered by Lavoropiù
🎙️ parlato di futuro della somministrazione qui
🎶 aumentato il volume come Main Sponsor ed HR Partner di Sequoie Music Park
🥇 tifato a gran voce per Alice Bellandi, campionessa del mondo di Judo
🌍 ricevuto il logo “Welcome 2024” da UNHCR
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